Capre e caglio

Capre e caglio

La Sardegna è terra di pecore, ma anche di capre, capaci di raggiungere quei pascoli impossibili per altri animali e di dare un latte sano, profumato di macchia mediterranea e molto versatile per formaggi e altri prodotti caseari.

La vera capra della Sardegna o, meglio, la Capra sarda primitiva

In Sardegna – in buona compagnia di quasi due milioni e mezzo di pecore – pascola una popolazione piuttosto eterogenea di capre; calcolando alcune varietà importate per fini commerciali e le “vere capre sarde”, si stima che questi robusti e indipendenti animali siano circa centosessantamila.

Per vera capra sarda o, meglio, Capra sarda primitiva, come è stata definita quella popolazione geneticamente uniforme che vive nelle zone montane dell’Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei e nel Sulcis-Iglesiente, si intende una capra piuttosto piccola, con il ventre prominente, la schiena incurvata e corna spesso di forma bizzarra.

La capra sarda è un animale molto rustico, molto resistente sia al freddo sia al caldo; è adatta a pascolare libera sui terreni impervi che non sono praticabili da altri animali da allevamento e si nutre più dei cespugli profumati della macchia mediterranea che di erba, producendo così un latte particolarmente aromatico, bianchissimo per l’assenza di betacarotene, con un elevato contenuto di lipidi e proteine. Un latte perfetto non solo per i formaggi, ma anche per i prodotti fermentati come lo yogurt e altre specialità casearie.

L’antica tradizione della mannalita

I capretti si nutrono esclusivamente del latte materno fino all’età di quasi due mesi e, fino a non moltissimi anni fa, non erano i soli beneficiari del latte di mamma. Era infatti tradizione diffusa che in ogni paese di montagna ci fosse una capra da mungere, chiamata sa mannalita, a disposizione dei bambini che per un qualsiasi motivo non potevano nutrirsi del latte materno, o degli anziani che faticavano a mangiare il cibo ordinario.

capre e caglio

Probabile che nessuno si curasse di indagarne le “ragioni scientifiche”, ma tutti sapevano che il latte di capra – che, per altro, oggi è considerato un Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale – era buono, nutriente e terapeutico. Sa mannalitta è protagonista anche di fugace episodio nel romanzo Paese d’ombre, di Giuseppe Dessì del 1972: un pastore fa sprizzare il latte dalle gonfie mammelle di una grossa e docile capra e dice che la qualità eccezionale del latte della sua bestiola dipende dalla razza, dalla qualità del pascolo, ma anche dalla luna. Idea opinabile, ma che la luna influenzi i processi agropastorali è una tradizione romantica contro cui chi siamo noi per combattere?

Comunque…. il latte di capra è utilizzato qui sull’isola per produrre ottimi formaggi freschi – come su casu in filixi – e stagionati e alcuni latticini come yogurt e frue; prodotti molto apprezzati e vincitori di diversi premi di qualità in concorsi nazionali e internazionali. Un discorso a parte merita invece una specialità particolare, oggi prodotto Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) della Sardegna, che in realtà non è un formaggio: il caggiu de crabittu.

Il caggiu de crabittu

Il caggiu de crabittu (caglio di capretto) viene prodotto in tutti i luoghi della Sardegna dove ci siano capre; è considerato una vera leccornia, anche se capisco che si possa rimanere un tantino sconcertati dal suo aspetto e dalla sua composizione.

Si tratta dell’abomaso (una delle quattro parti dello stomaco dei ruminanti, quella dove avviene la vera e propria digestione) di un animale così giovane da non aver mai brucato erba, riempito di latte e lasciato fermentare. Il capretto viene indotto a mangiare il più possibile direttamente dalla madre e viene macellato prima che inizi il processo digestivo; lo stomaco viene asportato e svuotato e il latte viene filtrato; il latte viene poi rimesso nell’abomaso, che viene cucito con ago e filo.

Capre e caglio

Saranno gli stessi fermenti lattici presenti sia nel latte, sia nell’abomaso stesso a dar vita a una cagliata cremosa. Il “fagotto” si lascia inizialmente riposare in un locale ben areato, poi si affumica in modo leggero per una quindicina di giorni. La cagliata così trattata – una volta “sbucciata” – si mangia spalmata sul pane, o affettata nelle versioni più stagionate. Il sapore è decisamente intenso con un forte sentore animale, simile a un formaggio, ma allo stesso tempo profondamente diverso.

Su casu in filixi tipico dell’Ogliastra

Un formaggio fresco, invece, che viene prodotto solo nei mesi estivi con latte di capra appena munto, è su casu in filixi; è una specialità di una zona ristretta della Sardegna, tra l’Ogliastra e la Barbagia, in particolare di Seulo, Sadali, Seui, Esterzili e Ussassai, Olzai, Villagrande Strisaili. Oggi Prodotto Agroalimentare Tradizionale.

La lavorazione è artigianale e la produzione molto limitata, ma vale la pena ricercarlo e assaggiarlo poiché non solo è fatto di un latte particolarmente profumato grazie alle essenze della macchia come timo ed elicriso, ma viene anche conservato in foglie di felce, che aggiungono un particolare aroma (e danno il nome al formaggio).

Il latte viene versato in un paiolo di rame filtrandolo attraverso foglie di felce; viene aggiunto caglio di capretto, viene mescolato con la muriga (un mestolone di legno) senza aggiungere nemmeno un pizzico di sale. La cagliata viene raccolta con sa trudda (mestolone forato) e si procede poi alla produzione delle forme, che vengono pressate dentro uno stampo di rametti di perastro rivestito con un telo di lino e foglie di felci appena tagliate.

Le felci danno sapore e, nello stesso tempo, imprimono sulla superficie del formaggio un delicato ricamo. Su casu in filixi ha una durata limitatissima, non più di trentasei ore, dopo di che si inacidisce; tanto che un tempo non veniva né trasportato né venduto, ma regalato perché fosse consumato immediatamente. Anche oggi la commercializzazione è davvero minima.

La sua scomparsa è scongiurata dall’attenzione che gli riservano la Fondazione Slow Food per la Biodiversità e l’Ecomuseodell’Alto Flumendosa di Seulo (Nuoro), dove vengono periodicamente organizzati seminari, degustazioni ed escursioni sui luoghi di produzione.



























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