Il Pandolce genovese

panettone genova

Andrea Doria (1466 – 1560), quello che fu soldato, ma diventò marinaio intorno ai quarant’anni, quello sposato con Peretta Usodimare (ma che bel nome!), quello che ebbe a che fare con Francesco I, Carlo V, Solimano il Magnifico, una serie di papi e una interminabile lista di battaglie; quello che nel 1528 fu l’artefice della definitiva indipendenza della Repubblica di Genova; quello che, ormai anziano ma non per questo meno prestante, fu ritratto dal Bronzino nelle succinte vesti di Nettuno… Beh, quello, pare che abbia anche “inventato” il Pandolce.

Praticità e ricchezza

O, meglio, che abbia espressamente richiesto ai fornai genovesi di produrre un dolce nutriente e facile da tenere in cambusa nei lunghi viaggi dei marinai; ma anche ricco e di bell’aspetto per sancire la posizione di predominanza della Superba sui mari e nella storia.

Il risultato fu il Pandolce, o il panettone genovese, che era un pane lievitato, dolce ma senza le deperibili uova, con uvetta, canditi e frutta secca, nello specifico pinoli. Un modello di pane-dolce adottato in molti luoghi in quello stesso periodo.

Anche se la leggenda non dovesse esser vera e il Pandolce l’avesse inventato un Gio Batta qualsiasi, affettare un Pandolce è sempre una gioia. Sia nella versione alta, che in quella bassa (che alcuni considerano più antica, ma non ci sono prove…), il profumo di questo pane compatto, ricco, burroso ma non troppo (non come il panettone milanese, intendo), con quei pinoli che saltan fuori a ogni passata di coltello quasi fossero vivi, fa venire l’acquolina in bocca.

Un dolce natalizio adatto a tutto l’anno

Un tempo appannaggio del periodo natalizio, momento in cui si rinnovava una bella tradizione, ovvero che fosse il più giovane in famiglia a portarlo in tavola e il più anziano ad affettarlo e distribuirlo, oggi il Pandolce si trova tutto l’anno in moltissime pasticcerie e panetterie. E in molte case, dove l’usanza di preparalo non è mai morta, anche perché, tutto sommato, la ricetta non è così complicata. Solo un po’ lunga, come sempre quando si tratto di lievitati naturali. E i pandolci non sono mai più pesanti di un chilo, anzi, in genere si preferisce farli più piccoli.

Per avere un’idea: per circa un chilo di farina di grano tenero si usano circa trecento grammi di burro e altrettanti di zucchero e fino a seicento di uva passa, più cento grammi di pinoli, cento di canditi a scelta e poi, a piacere, acqua di fiori d’arancio, semi di finocchio e, crepi l’avarizia, anche un pochino di vino passito. Si parte con il lievito madre o si aggiunge lievito di birra e, dopo le varie fasi di lievitazione, si cuoce per un’oretta.

Questo in foto è un regalo. Bellissimo e graditissimo, direttamente da Genova, da una antica – fondata nel 1885 – e rinomata pasticceria che ha sedi, oltre che in Liguria, anche a Milano: Panarello. Donato con il cuore, una volta aperto è durato… più o meno una giornata! Irresistibile.  

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